L'Autore tra una citazione e l'altra - propone considerazioni ironiche sull'inefficacia di queste ed altre gride. Comprendendo che i bravi stanno attendendo lui, don Abbondio cerca vie di fuga o eventuali testimoni, ma poi, vista l'assenza delle une e degli altri, si avvicina ai due fingendosi tranquillo. I bravi gli sbarrano la strada e gli impongono, con le minacce, di non celebrare il matrimonio tra due giovani del luogo: Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Don Abbondio, spaventato, si dichiara più volte disposto all'obbedienza, specie quando sente il nome di don Rodrigo, il padrone dei due bravi. Fatta la loro ambasciata i due f si allontanano. Le minacce dei due bravi si inseriscono nel clima di sopraffazione che caratterizza il Ducato di Milano sotto la dominazione spagnola: i potenti possono impunemente commettere ogni tipo di violenza, mentre i deboli sono costretti a subire e non sono protetti dalla Giustizia. Fin dalla fanciullezza, don Abbondio si rivela un debole e un timoroso, incapace di affrontare le difficoltà della vita in un'epoca tanto violenta. La sua scelta sacerdotale nasce allora dal desiderio di appartenere ad una classe privilegiata e protetta e non da una vera vocazione religiosa. Ma per poter stare ancora più tranquillo, don Abbondio elabora un proprio "sistema di vita" fatto di paura, di servilismo, di opportunismo che lo induce a stare sempre dalla parte del più forte, di cattiverie verso i più deboli, di critiche a chi non pensa ai fatti propri. Inizia il soliloquio di don Abbondio. Come parlando tra sé egli immagina le reazioni di Renzo e ripensa a ciò che avrebbe dovuto dire ai bravi. Infine inveisce segretamente contro don Rodrigo. Giunto a casa propria, il curato chiama Perpetua, la sua serva. Dopo qualche esitazione, si confida con lei, ma non accetta i suoi saggi consigli. Infine, stremato, va a dormire, raccomandando alla domestica la massima riservatezza.
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